« En las marinas de Sardeña mucho coral en los mares de la ciudad de Bosa, Alguer, y Castell Aragones»
Martin Carrillo, 1612
La pesca
Quell’alberello rosso che fluttua negli abissi del nostro mare è sempre stato pescato fin dai tempi più antichi.
Perché? Perché faceva guadagnare ingenti somme alla città di Alghero e perché il mondo dell’inesplorato è sempre una forte tentazione per l’uomo.
Ma sappiamo che già dalla preistoria e della protostoria, nel Vicino Oriente e nel Mediterraneo occidentale il corallo veniva pescato e utilizzato per scopi culturali, come testimoniano le navicelle votive nuragiche, simili a quelle di altri popoli pescatori di corallo.
La pesca si è collaudata nei secoli, facendo ora sempre più attenzione all’ecosistema e al mondo marino in genere.
Il primo attrezzo, documentato e documentabile, è la Croce di Sant’Andrea, trainato da piccole barche a vela. Composto da due assi di legno a forma di croce, era appesantito da sassi alle cui estremità pendevano delle reti. Con l’avvento delle barche a motore e l’aumento di profondità della pesca, la Croce di Sant’Andrea si dimostra inefficace e viene perfezionata e sostituita dall’Ingegno le cui assi diventano di ferro.
Si parla in entrambi i casi di una pesca a strascico, in cui il corallo viene catturato e portato a bordo. Il fondale marino viene arato in modo indiscriminato, coinvolgendo e distruggendo l’ecosistema interessato. Per questo ora l’attività di pesca, può essere esercitata esclusivamente mediante l’uso della piccozza, usata da pescatori equipaggiati con apparecchi individuali, autonomi o no, per la respirazione subacquea.



